Un interessante articolo sul giocare insieme genitori e figli. Spero possa risultare utile.
tratto da http://rivista.ssef.it
tratto da http://rivista.ssef.it
Molto spesso c’interroghiamo sul
ruolo del gioco per i nostri figli, e correttamente rispondiamo che esso
rappresenta “il loro modo di lavorare”. Di rado riflettiamo, però, sulle
ripercussioni che ha nel loro sviluppo il gioco che essi fanno con noi
genitori.
Negli ultimi decenni è stata data
giustamente molta importanza alle relazioni familiari, al loro influsso sulla
personalità e sulla socializzazione dei bambini, giungendo a riconoscerne un
ruolo prioritario. Le relazioni, infatti, che si stabiliscono in famiglia, tra i
diversi membri che la compongono, costituiscono un ambiente naturale
d’apprendimento di concetti e d’attitudini che agiscono come rinforzo e come
motivazione per il raggiungimento di nuovi obiettivi educativi.
Partendo dal presupposto che il
gioco è la migliore forma di attività infantile, necessaria per tutti i bambini,
è bene utilizzarlo correttamente per favorire il loro sviluppo
globale.
Oltre ad essere una necessità
biologica e fisiologica, il gioco è per il bambino un veicolo di espressione di
emozioni e di sentimenti; contribuisce alla formazione della sua coscienza
morale e sociale, lo stimola a trovare nuove e ingegnose soluzioni, e lo aiuta
ad adattarsi all’ambiente che lo circonda. Uno studio recente sui giochi più
adatti ad ogni singola età, ha messo in rilievo che nei primissimi anni di vita,
il gioco più apprezzato ed amato dal bambino è normalmente sua madre o, in via
del tutto eccezionale, “quella” persona adulta che si prende cura di
lui.
Il bambino fin da piccolo avverte
un fascino speciale nei confronti della madre, per esempio quando ascolta la sua
voce, quando lo accarezza, quando la vede ripercorrere con le dita il suo viso o
il suo corpo; la mamma, per il bambino, è tutto; è lei che lo rende sicuro e che
lo ama, è lei che gli trasmette fiducia, che lo prende in braccio, e che è
disposta a rispondere alle infinite richieste che il bambino le rivolge. Per
questo spesso si sente affermare che la madre è un “giocattolo
universale”.
La funzione dell’adulto è
primariamente quella di osservare ed ascoltare il bambino, per riuscire a
cogliere i suoi ritmi e le sue iniziative, poi di aiutarlo a dare un nome alle
cose ed un senso alle azioni.
L’adulto dovrebbe avvicinarsi al
bambino che gioca, accettare di essere suo complice o compagno nelle avventure
sognate, perché l’aiuto di partenza consiste nel creare attorno all’attività
ludica lo spazio, il modo, i materiali, gli accessori, gli spunti per giocare,
costruire, collezionare, sperimentare, disegnare, recitare…
Non è utile organizzare o capire,
ma piuttosto… stare insieme al bambino quando si diverte. Posti nelle condizioni
più favorevoli, fisiche, tecniche e psichiche, saranno i bambini stessi a
chiedere all’adulto aiuto e suggerimenti.
Oggi purtroppo viviamo in un’epoca
in cui molti genitori e molti madri, costrette dal lavoro, non hanno molto tempo
a disposizione da dedicare ai loro figli; questa condizione genera a sua volta,
con un effetto boomerang, che gli stessi bambini trascorrano molto tempo fuori
casa rispetto agli anni precedenti: tutto questo crea fratture nella
comunicazione tra genitori e figli. Di fronte a un tale quadro, il gioco può
servire ad ampliare il campo di azione delle relazioni tra i genitori e i figli
e, in particolare, tra le madri e i figli. Il gioco unisce i bambini agli adulti
e viceversa. Giocare equivale a farsi conoscere meglio dai propri figli, e a
conoscere meglio i figli, a conoscersi e a identificarsi maggiormente nel ruolo
genitoriale, a dialogare e a creare legami più forti. Si può affermare che
giocare è il miglior modo di educare.
Anche la scuola ha espresso la sua
posizione. Gli educatori della scuola italiana sono chiamati a
strutturare:
- una relazione personale
significativa tra
pari e con gli adulti, nei più vari contesti di esperienza, come condizione per
pensare, fare ed agire
- a valorizzare il gioco
in tutte le sue forme ed espressioni
(e in particolare del gioco di finzione, di immaginazione e di identificazione
per lo sviluppo delle capacità di elaborazione e di trasformazione simbolica
delle esperienze): la strutturazione ludiforme dell’attività didattica assicura
ai bambini esperienze di apprendimento in i tutte le dimensioni della loro
personalità
- a stimolare al fare produttivo ed
alle esperienze dirette di contatto con la natura, le cose, i materiali,
l’ambiente sociale e la cultura per orientare e guidare la
naturale curiosità in percorsi sempre più ordinati ed organizzati di
esplorazione e ricerca.
I bambini hanno un loro singolare
modo di apprendere, di rivolgere l’attenzione, alle condizioni che facilitano il
loro apprendimento e all’atmosfera più adeguata a consentire loro di giocare con
serenità, con gioia e creatività.
È ingenuo pensare che basti
lasciar giocare i bambini o farli giocare. Non basta e non è produttivo il
permissivismo perché il bambino che “è mandato a giocare da solo nella sua
stanza può vivere… questa esperienza come una “punizione” e può sentirsi messo
da parte, isolato o scaricato.
Il gioco, amato, curato,
osservato, valorizzato dall’adulto, ha la stessa potenza di ciò che normalmente
viene ritenuto più importante, perché affina le abilità e introduce nei
complessi modi di stare in rapporto con se stessi, con gli altri, con le
cose.
L’adulto che partecipa al gioco
dei bambini garantisce i confini e la sua presenza sembra dare tono al gioco.
Spesso in famiglia i bambini sono figli unici che, quando non sono lasciati soli
in casa davanti al televisore, convivono con adulti, spesso i nonni, le
baby-sitter, talvolta i genitori.
Di fatto i figli hanno una vita
che, nonostante la disponibilità dei genitori nei loro confronti, è calibrata su
quella degli adulti. I loro sonni vengono interrotti dalla sveglia che suona per
i genitori, le cui esigenze condizionano e allungano gli orari delle istituzioni
educative (nidi infantili e scuole materne) e la scelta delle vacanze, delle
occupazioni per il tempo libero e dei programmi televisivi da vedere in
famiglia.
Alcuni genitori ritengono che i
figli debbano inseguire il successo e pongono al primo posto dei valori
la bellezza del corpo, ritenendo che i loro figli debbano essere belli e
simpatici per trovare aperte le porte in tutti gli ambiti.
Il successo che si desidera è
anche quello di tipo intellettuale: da ciò deriva la corsa ai precocismi, agli
efficientismi, agli anticipazionismi (i bambini fanno danza, inglese,
sport).
Privati del loro spazio di sogno e
di fantasia i figli non diventano più intelligenti e capaci, anzi la ricchezza è
spesso dovuta al gioco che spinge ad inventare e costruire.
Sembra allora doveroso restituire
ai bambini gli spazi di vita ed educativi che il nostro modo di vivere ci ha
tolto ed appare indispensabile recuperare il contatto con la natura per poter
provare la gioia della scoperta, per comprendere come “funziona la vita”, quali
sono le condizioni che la rendono possibile e quali sono le relazioni che si
stabiliscono tra gli esseri viventi e l’ambiente in cui vivono.
Il bambino può realizzare queste
conquiste attraverso esperienze gioiose e gratificanti che i genitori possono
favorire anche quando hanno poco tempo e pochi spazi a disposizione,
approfittando delle vacanze, delle gite domenicali, dei giardini pubblici, del
terrazzo della propria abitazione e delle opportunità che alcuni orti botanici
offrono ai fanciulli.
Anche le attività di coltivazione
delle piante e di allevamento di piccoli animali, mentre costituiscono una
gioiosa esperienza ludica, educano all’impegno e alla responsabilità nei
confronti della loro vita e sono gratificanti, perché consentono ai bambini di
constatare e di apprezzare i risultati della loro azione, il frutto della loro
fatica, il gusto di sentirsi utili.
Per valorizzare il gioco è
opportuno valorizzare il rapporto con i bambini, che avvertono l’esigenza di
fare “qualche cosa” insieme agli adulti, e specialmente ai genitori. Talvolta
questo “qualche cosa” è un lavoro ma il bambino è lieto di essere coinvolto
nell’attività dell’adulto, di stare con lui, di rendersi utile. In un’attività
lavorativa che coinvolge un adulto e un bambino si inserisce un rapporto di
gioco. “Quando l’azione acquista una sua autenticità e una sua importanza il
bambino vive una particolare giocosità e sperimenta una particolare gioia in
quell’esperienza. È esperienza di successo, di riuscita; è identificazione di
capacità logica, è divertimento manuale, espressivo, identificatorio”.
(Macchietti)
È interessante notare che i
bambini - specialmente fra i 2 e i 5 anni – hanno piacere a cooperare alle
attività degli adulti: se il padre prende in mano chiodi e martello o la madre
prepara attrezzi e ingredienti per fare una torta o per lavare i piatti della
merenda (questo secondo la classica divisione dei ruoli, ma oggi ogni tanto
accade il contrario), subito il bambino è dappresso per curiosare, guardare e
infine allungare le mani: «voglio fare anch’io!». Al solito gli adulti mostrano
poca pazienza: commentano «Fa disastri, tocca tutto». La frase tipica
dell’educazione tradizionale è ancora «guardare e non toccare, è una cosa da
imparare». Invece è necessario armonizzare il lavoro manuale con quello mentale,
sia per creare una personalità psico-fisica equilibrata, che non abbia
difficoltà a muoversi nelle varie situazioni che incontra; sia per impedire che
si formi -come spesso invece succede- la discriminazione del lavoro manuale
rispetto a quello intellettuale.
Nella vita adulta, acquisita
autonomia e responsabilità, la capacità di giocare si trasforma in capacità di
lavorare quando sono state raggiunte le seguenti condizioni:
- capacità di controllare o
modificare gli impulsi, che da aggressivi-distruttivi devono diventare
costruttivi;
- capacità di portare avanti piani
prestabiliti, trascurando il piacere immediato, le frustrazioni momentanee, e
pensando invece al risultato finale;
- capacità di passare dal principio
del puro piacere (fonte di egocentrismo) al principio di realtà, che permette di
vivere il piacere nel rispetto delle regole sociali.
Quando ci vogliamo interessare di
educazione nelle attività di movimento e di gioco non possiamo dimenticare la
corporeità.
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